La voce del popolo
2005


La voce del popolo
In questa sezione Share International mette in evidenzia il potere del popolo, che continuerà ad ampliarsi fino a che, con la saggia conduzione di Maitreya, i popoli indurranno i loro leader alla creazione di una società giusta, nella quale saranno riconosciuti e soddisfatti i diritti e i bisogni di tutti. In questa rubrica è tradotta in italiano una parte delle notizie pubblicate in inglese.

Stati americani sfidano Bush su temi ambientali
Gli Americani stanno prendendo in mano loro stessi il tema dei cambiamenti climatici, legiferando per contenere, come nel protocollo di Kyoto, l'emissione di gas ad effetto serra, in diretta opposizione alla recalcitranza del presidente Bush.
Nove Stati del nord-ovest stanno frenando le emissioni di centrali elettriche; la California sta legiferando per ridurre le emissioni delle automobili del 30% entro il 2015 (una mossa che potrebbe trasformare l'industria automobilistica); i sindaci di 187 città americane (rappresentanti 40 milioni di persone) si sono loro stessi impegnati per raggiungere gli obiettivi di Kyoto sulla riduzione delle emissioni; alcune importanti aziende americane stanno tentando tagli ingiuntivi al CO2 per tenersi al passo con le strategie mondiali verso un'economia a basso consumo di energie fossili.
Se la legislazione della California supererà le sfide legali, altri Stati americani seguiranno, come pure il Giappone e probabilmente la Cina; ciò significa che i fabbricanti di automobili di tutto il mondo dovranno conformarsi ad emissioni di CO2 più basse. (Fonte: BBC News, UK)
dicembre 2005
"Il Mondo non può aspettare": raduni attraverso gli Stati Uniti
Migliaia di protestanti hanno inscenato manifestazioni in decine di città attraverso gli Stati Uniti il 2 novembre 2005, chiedendo le dimissioni del presidente Bush."Rimuoviamo il regime di Bush" era il tema principale delle proteste che si sono svolte a New York, Los Angeles, Seattle, San Francisco, Chicago ed almeno altre 60 città.
L'organizzazione "Il Mondo non può aspettare", una coalizione di gruppi, ha usato l'anniversario della rielezione di Bush per organizzare le manifestazioni. A New York gli studenti hanno lasciato scuole e università per unirsi a migliaia di altri sostenitori, riuniti in Union Square, prima di marciare su Times Square."Il regime di Bush vuol rifare il mondo con la sua politica", ha detto l'organizzatrice Sunsara Taylor."Dalla guerra in Iraq, alla politica ecologica, al rimpasto della Corte Suprema… si sta favorendo il fascismo in questo Paese."
Studenti di almeno 40 college ed università e 90 scuole superiori degli gli Stati Uniti hanno marinato la scuola per partecipare alle manifestazioni. (Fonte: Reuters, UK)
dicembre 2005
Dimostrazioni mondiali per la pace
Centinaia di migliaia di persone, da tutto il Nordamerica e dall'Europa, hanno marciato nelle strade e tenuto raduni per protestare contro la guerra in Iraq. Le dimostrazioni del 24 settembre 2005 si sono rivelate le più grandi marce per la pace dall'invasione dell'Iraq da parte degli Stati Uniti, due anni fa.
A Washington DC decine di migliaia di persone, provenienti da tutti gli Stati Uniti, hanno manifestato davanti alla Casa Bianca e al Monumento di Washington. Quest'azione faceva parte di una "tre giorni" di protesta che includeva atti non violenti di disobbedienza civile alla Casa Bianca ed una funzione religiosa che riuniva fedi diverse. I segnali di protesta includevano messaggi come "Bush ha mentito, in migliaia sono periti", "Nessun miliardario trascurato, ma la vita di un bambino non vale un centesimo" e "dall'Iraq a New Orleans: finanziate i bisogni della gente, non la macchina della guerra".
I protestatori includevano giovani attivisti, suore, il cui attivismo per la pace iniziò con la guerra in Vietnam, genitori in lutto per i figli in uniforme persi in Iraq, e numerose famiglie motivate per la prima volta a protestare. "Non avevo mai protestato prima, ma sono qui, in divisa, pensando che sia il solo modo per attirare l'attenzione di Bush" ha detto il primo sergente dell'esercito Frank Cookinham, un veterano della guerra del Golfo, tornato di recente da un secondo periodo in Iraq. "Questa guerra non ha alcun senso".
"Dobbiamo sentirci implicati" ha affermato Erika McCroskey, giunta da Des Moines, Iowa, con la madre e la sorella per prendere parte alla sua prima dimostrazione. Un altro manifestante, Paul Rutherford, ha detto di essere un repubblicano che sostiene ancora Bush, eccetto che per la guerra. "Il presidente Bush deve ammettere che ha fatto un errore con questa guerra, portare a casa le truppe e andare avanti", ha detto.
Altri raduni si sono svolti a Los Angeles, San Francisco, San Diego, Seattle, Minneapolis e in molte altre città degli Stati Uniti.
Le dimostrazioni del 24 settembre hanno evidenziato un risentimento crescente del popolo contro la guerra. I sondaggi del settembre 2005 indicano che solo il 34% degli Americani pensa che la guerra possa essere vinta, solo il 32% sostiene il modo di condurre la guerra di Bush, ed il 63% sostiene un ritiro totale o parziale delle truppe statunitensi dall'Iraq.
A Londra decine di migliaia di persone hanno marciato reclamando "Pace e Libertà", e chiedendo che il Primo Ministro Tony Blair ritiri le truppe britanniche dall'Iraq. I protestanti portavano striscioni con slogan come "Blair bugiardo", "Bush: terrorista mondiale No. 1", "Basta con le guerre, basta con le bome", e "truppe a casa adesso".
"Il troppo è troppo" ha detto Lindsey German, della Coalizione per fermare la guerra, organizzatrice della marcia londinese. "È tempo, ancora una volta, che il popolo britannico torni nelle strade e che dica chiaramente che questa volta non vuole essere ignorato".
Una manifestazione si è tenuta pure a Parigi; a Roma i dimostranti tenevano striscioni e bandiere per la pace davanti all'Ambasciata statunitense. In Irlanda varie centinaia di persone sono state allontanate dopo un raduno per la pace all'Aeroporto Shannon di Dublino. (Fonte: BBC News, UK; Associated Press; www.msnbc.com)
novembre 2005
Protesta in difesa di un fiume brasiliano
Un vescovo brasiliano ha terminato lo sciopero della fame durato 11 giorni, dopo che il governo del Presidente Lula Da Silva si è detto d'accordo di avviare delle trattative su di un progetto controverso di deviazione di un fiume. Il vescovo Luiz Flavio Cappio, 59 anni, ha ostacolato i piani per la deviazione del fiume "Sao Francisco" insistendo che qualunque progetto dovrà includere il ripristino del fiume, già severamente danneggiato, che attualmente sostenta lungo le sue rive milioni di allevatori già impoveriti.
Il governo asserisce che il suo progetto apporterà sviluppo a 12 milioni di poveri del nord-est, afflitti dalla siccità, ma gli oppositori temono che ciò porterebbe beneficio solo a facoltosi proprietari terrieri, ridurrebbe la quantità di idro-elettricità generata, e che finirebbe per prosciugare completamente il fiume.
Dopo 6 ore di intense discussioni il vescovo ha accettato la promessa del governo di "discussioni ad ampio raggio, giuste e trasparenti, per giungere ad un piano di coesistenza sostenibile per il bene di tutti", e di maggiori fondi per ripristinare il fiume. "Dichiaro che il mio digiuno è sospeso in favore della vita" ha dichiarato alla folla acclamante di sostenitori. (Fonte: BBC, UK; Associated Press, USA)
novembre 2005
I bambini marciano per i loro diritti
La città di Nuova Delhi era gremita di toni inconsueti l'8 settembre 2005, quando migliaia di bambini provenienti da almeno 24 nazioni si sono impadroniti delle strade, onde attirare l'attenzione sui problemi con i quali i bambini del mondo sono confrontati.
I bambini, con maglietta bianca e berretto rosso, reggevano striscioni e intonavano le loro richieste del tipo; "vogliamo un'istruzione", "facciamo che ogni strada conduca alle scuole"; "basta con gli arnesi da lavoro in mani minute".
La marcia è stata organizzata da "Marcia Globale contro il lavoro infantile" e da Bachpan Bachao Andolan (BBA), nell'ultimo dei quattro giorni interamente dedicati al secondo Congresso dei Bambini svoltosi nella capitale. Fondatosi quale gruppo di pochi individui, il BBA ha prosperato in un'organizzazione composta da migliaia di sostenitori individuali e in una rete operativa composta da più di 750 fra NGO, sindacati e organizzazioni per i diritti umani, miranti alla totale abolizione del lavoro infantile, nonché ad un'istruzione di qualità per tutti in India.
I giovani partecipanti provengono dai paesi della zona Asia-Pacifico, come pure dall'Africa, Medio Oriente, Etiopia, Pakistan, Filippine, Camerun, Bangladesh, Cambogia, Iran, Messico, Malawi, Costa Rica, Giappone e Nepal. I bambini attivisti hanno poi formulato assieme un documento con le richieste che saranno sottomesse alle Nazioni Unite nel 2006, e nel quale chiedono ai governi di assumersi la responsabilità di proteggere i diritti dei bambini, ed affinché il dispendio per guerre ed armi sia drasticamente ridotto e attribuito all'istruzione. Nel documento si chiede inoltre che i governi si impegnino, in modo visibile e pratico, per porre fine al lavoro infantile, fornendo un'istruzione accessibile ed uguale per tutti.
"Vogliamo poter giocare e andare a scuola; chiediamo che le autorità si rendano
conto delle nostre condizioni e che contribuiscano all'abolizione del lavoro infantile",
spiega Kifayatulla, di 13 anni, che lavora a tempo parziale in uno snack-bar al bordo di
una strada di Dhaka. Un ragazzo manovale di 11 anni, Umair Choudhury, Nepalese, racconta:"Sono
felice di trovarmi fra altri bambini, malgrado mi sia difficile comprendere la loro lingua;
per questi ultimi quattro giorni non ho dovuto lavorare e adesso non mi va di dover tornare
al mio lavoro".
(Fonte: Hindustan Times, India; www.bbasaccs.org )
ottobre 2005
Il potere popolare fa chiudere le miniere in Peru
Le principali operazioni minerarie peruviane sono state bloccate oppure costrette a chiudere dalla gente locale che sollecita maggiori investimenti in loco, nonché la fine delle contaminazioni dei raccolti e dei terreni coltivabili.
Metà della popolazione del Peru vive in povertà e dal 2003 vi sono state crescenti proteste contro le industrie minerarie, l'attività più lucrativa del Peru, in particolare dopo che la forte domanda di rame da parte della Cina ha alimentato un enorme incremento dei profitti. I dimostranti sono per la maggior parte coltivatori che protestano contro la perdita delle loro terre e la contaminazione dei loro raccolti, terreni e sistemi di irrigazione da sostanze chimiche come il cianuro; i residenti locali chiedono inoltre maggiori risarcimenti alle facoltose compagnie minerarie - ad esempio per scuole, ospedali e strade - a favore delle aree locali impoverite e costantemente trascurate dal governo.
A fine luglio un migliaio di dimostranti sono confluiti nella sperduta miniera britannica di rame a Rio Blanco - a 12 ore di cammino dal villaggio più vicino, sul confine con l'Ecuador - con lo scopo di impedire il lavoro dei minatori dal progetto da 800 milioni di dollari. Un dimostrante è stato ucciso e 20 altri feriti; a metà agosto 500 poliziotti stavano ancora controllando la miniera, i contestatori bloccavano le strade, e la chiesa cattolica romana tentava di mediare il dialogo fra residenti e la Monterrico Metals. Anche nel nord del Peru, crescenti proteste fra circa 4000 residenti locali e la miniera di rame della BHP Billiton's Tintala hanno fermato i lavori a tempo indeterminato, lo staff è stato evacuato e l'intervento della polizia è stato chiesto per proteggere la zona. Inoltre, la Newmont Mining ha dovuto rimuovere le attrezzature dalla maggiore miniera d'oro dell'America Latina per "evitare conflitti". (Fonte: Reuters; www.business-humanrights.org)
ottobre 2005
La voce del popolo in Bolivia
La questione della gestione delle risorse naturali in Bolivia ha provocato la cacciata di due presidenti in meno di due anni. Le pressioni esercitate dalla popolazione povera, inclusi gli indigeni boliviani, volte a nazionalizzare il settore energetico, hanno condotto alle dimissioni del presidente Carlos Mesa, lo scorso mese di giugno.
In seguito, il Congresso boliviano ha designato quale presidente Eduardo Rodriguez. Capo della Corte Suprema fino alla sua nomina, Rodriguez ha accettato l'incarico con l'obbiettivo di indire nuove elezioni per il rinnovo dei poteri pubblici.
Anche la Chiesa e l'esercito hanno avuto un ruolo chiave in questa svolta a sorpresa degli eventi, sostenendo la candidatura di Rodriguez.
Dopo settimane di mobilitazioni, La Paz, capitale della Bolivia, si è destata con la speranza che la nomina del nuovo presidente avrebbe posto fine a quattro settimane di proteste. Alcuni movimenti civili si sono riuniti a El Alto, teatro di grandi manifestazioni concernenti i carburanti, per decidere se proseguire con le barricate nelle strade e con le proteste fino a che il governo non decida di nazionalizzare le enormi riserve di gas naturale boliviano. I manifestanti hanno innalzato striscioni con scritto: "Il popolo domanda la nazionalizzazione".
"Dobbiamo rientrare ai nostri villaggi. Diamo al nuovo governo 10 giorni di tempo per nazionalizzare il gas e convocare una nuova assemblea costituzionale", ha dichiarato il leader dei contadini Roman Loayza. Nel contempo, Evo Morales, leader indigeno del Movimiento al Socialismo, vuole una tregua con il nuovo governo fino a che Rodriguez non lo avrà formato.
"Torneremo in massa a manifestare nelle strade se questo presidente non saprà soddisfare la volontà del popolo", ha dichiarato uno degli operai che ha partecipato all'ultima manifestazione a La Paz, aggiungendo: "lo sciopero deve proseguire finché il settore petroliero sarà nazionalizzato; dobbiamo quindi mantenere il blocco".
"Non ce ne importa un fico secco di questo nuovo e mediocre presidente" ha dichiarato Jaime Solares, leader del Central Obrera Boliviana (COB), e fra i leader più radicali "a meno che faccia quanto gli abbiamo chiesto".
I rappresentanti della Chiesa erano più moderati nelle loro reazioni, benché la loro posizione fosse chiara.
Per il vescovo di El Alto, Jesus Juarez: "Purché nel rispetto della legge, i boliviani hanno il diritto di pretendere che gli idrocarburi servano a ridurre la povertà. Quando le leggi non convengono al popolo, allora ci si deve riunire per negoziare, ma senza costrizioni".
Nel frattempo in Bolivia sembra essersi gradualmente istituita un'autentica tregua sociale. Gran parte delle organizzazioni sociali partecipanti al blocco nazionale è stata invitata a un incontro con il Presidente Rodriguez per discutere, fra altri temi, quello della nazionalizzazione degli idrocarburi. Benché il leader della Fejuve Altena, Abel Mamani, abbia dichiarato che la maggioranza delle organizzazioni è disposta a partecipare alla riunione onde trovare una soluzione consensuale, il segretario esecutivo del COR, Edgar Patana, ha ribadito che, personalmente, avrebbe preferito ulteriori proteste prima di incontrarsi con il governo, "finché non abbiamo raggiunto i nostri obbiettivi. Essi devono continuare ad ascoltare la voce del popolo".
(Fonti: La Razón de Bolivia, El Diario, Bolivia; El País, Spagna).
luglio-agosto 2005
Il potere popolare ecuadoriano
Nel mese di aprile 2005, il Congresso ecuadoriano ha votato la destituzione del Presidente Lucio Gutierrez dal suo incarico, a seguito di otto giorni di proteste di decine di migliaia di dimostranti sempre più delusi dalla presidenza oppressiva di Gutierrez.
Una piccola emittente alternativa, La Luna, ha avuto un ruolo chiave nel galvanizzare quanti vedevano da parte del governo un abbandono della posizione populista e di anti-corruzione, fattori che avevano favorito l'elezione di Gutierrez nel 2002. La radio incoraggiò le proteste e trovò un folto numero di persone intenzionate a riversarsi in strada per manifestare, inclusi i pensionati e le casalinghe con i loro figli. Secondo il direttore del programma Luis Pozo: "Per la prima volta in Ecuador vi sono state proteste senza leader. Era l'indignazione del popolo verso tutti i politici, contro la politica tradizionale". Invece di aiutare i poveri, il presidente Gutierrez ha istituito misure di severa austerità per soddisfare le direttive del Fondo Monetario Internazionale ed ha permesso la presenza militare americana lungo il confine con la Colombia. Ma è stato il suo disprezzo per la Corte Suprema a fungere da catalizzatore alle proteste anti-governative e a determinare la sua resa finale.
Il vice-presidente Alfredo Palacio, che aveva espresso le sue preoccupazioni riguardo alla politica di libero mercato di Gutierrez, ha prestato giuramento onde poterlo sostituire.
(Fonte: The New York Times, Associated Press, USA)
giugno 2005
I manifestanti rovesciano il governo del Kirghizistan
Nel Kirghizistan, nazione dell'Asia centrale, i dimostranti hanno preso il controllo del Palazzo del governo, costringendo il Presidente di lunga data a lasciare il suo ufficio, nella terza rivolta popolare riuscita, in un' ex repubblica sovietica in 16 mesi.
La velocità con cui si è avuta la caduta del governo ha sorpreso molti suoi opponenti. L'opposizione, che contesta le controverse elezioni tenutesi in febbraio e marzo 2005, si è dapprima impossessata delle maggiori città al sud del paese. La prima dimostrazione nella capitale, due giorni dopo, è stata debole e facilmente dissolta da parte degli agenti in assetto anti-sommossa. Ma l'indomani, un numero maggiore di dimostranti si è radunato e marciando, è entrato irrompente nella sede del governo e della presidenza dopo qualche complicazione con i sostenitori dell'ex presidente Askar Akayev.
Gli oppositori hanno preso il controllo di una sede televisiva filo-governativa e hanno organizzato la liberazione di Felix Kulov, un ex ministro degli interni, il quale si è poi rivolto dall'emittente alla nazione. Il primo ministro Nikolai Tanaiev ha dato le dimissioni. Stando agli oppositori, i ministri della sicurezza, degli interni e della difesa hanno subito iniziato a lavorare con le nuove autorità.
Kurmanbek Bakiev, ex primo ministro, è stato dichiarato Presidente ad interim; egli ha annunciato per il prossimo mese di giugno le elezioni per la successione formale di Akayey. Questa rivolta kirghiza, fa seguito ad altre insurrezioni in due ex repubbliche sovietiche, l'Ucraina e la Georgia.
(Fonte: The Washington Post, USA ; BBC News , UK )
maggio 2005